Assaporo le cose belle della vita

Il mio percorso in programma è iniziato in accoglienza dove vi sono rimasto per circa cinque mesi.
Da quando avevo iniziato a pensare con i miei genitori ad un possibile programma in comunità, erano già passati diversi mesi ed io continuavo a non volerne sapere niente, fino a che un giorno sono andato a fare il primo colloquio.
Andai a quel colloquio solo per far contenti i miei familiari, infatti l’idea comunità si perse non appena uscito dal colloquio… Ero nella posizione in cui non mi fidavo di nessuno, della mia famiglia, del S.E.R.T. e tanto meno di me stesso. Nei miei pochi momenti di riflessione e lucidità, riuscivo a rendermi conto della situazione in cui mi trovavo, continuando però a sperare che qualcosa cambiasse, continuavo a sperare perché il solo pensiero di metterci mano mi spaventava.
Parecchio tempo dopo, man mano che le cose peggioravano, trovai il coraggio di farmi indirizzare dal S.E.R.T. verso una comunità; mi fidai a pelle della psicologa del S.E.R.T. e iniziai cosi i miei primi colloqui.
Al KAIROS ho provato sin da subito una bella sensazione, per un attimo, dopo aver messo da parte tutte le mie paure, ho pensato che quel posto potesse veramente aiutarmi. Una volta entrato in accoglienza però ho sentito subito un impatto molto duro, erano anni ormai che mi ero rinchiuso in casa con la mia routine, con una vita tutta mia.
È stato proprio questo il primo significativo passaggio: uscire dalla mia tana e sentirmi allo scoperto ha iniziato smuovere qualcosa dentro di me e a darmi un minimo di fiducia.
Durante la permanenza in accoglienza c’erano dei momenti in cui apprezzavo quello che stavo facendo, in altri invece ero arrabbiato pensando che la causa dei miei malesseri riguardava tutto tranne quello che era dentro di me.
Non volevo e non riuscivo ad esprimere quello che avevo dentro, quello che sentivo e quello di cui avevo bisogno. Sono andato avanti così fino a che un bel giorno non ho deciso di tornarmene a casa; erano passati solo due mesi e cercavo di raccontarmi di aver fatto molto e che sicuramente tornando a casa sarebbe andata ancora meglio.
Naturalmente non era cambiato niente e me ne tornai subito in accoglienza con qualche consapevolezza in più.
Nei mesi successivi continuai il mio cammino un po’ a modo mio, aspettando che i giorni passassero fra alti e bassi, tornando di conseguenza a far uso di sostanze e riempiendomi di compromessi insieme ad altri utenti.
Lasciai la struttura quindi per la seconda volta, questa volta senza dovermi raccontare niente, mi ero rifatto.
Una giornata ed un’intera notte in giro per le strade della mia città e le facce dei miei familiari mi diedero la forza per rendermi conto che era veramente ora di mettersi in gioco.
Tornato in programma passò poco tempo prima di raggiungere la seconda fase, la comunità.
È stata proprio questa per me la fase più bella e significativa. Inizialmente ho sofferto molto per ambientarmi e tutto quello che si faceva mi sembrava assurdo. Ho sofferto molto il primo periodo il distacco con l’accoglienza,con gli operatori e con gli utenti con cui avevo legato.
Il distacco con tutto l’esterno però iniziò a piccoli passi a farmi dedicare a me stesso. Con il passare dei mesi ho riscoperto il calore delle persone, l’amicizia, il valore della famiglia e soprattutto un regolare stile di vita.
Ho affrontato diverse esperienze educative, ma la più dura altrettanto bella è stato lo show down; fino a poco prima dell’esperienza sapevo di aver fatto molto, ma lo show down mi ha dato qualcosa in più, qualcosa di molto grande e bello.
È stato come uscire do ogni tipo di immagine, da ogni tipo di riparo, affrontando il timore che avevo verso gli altri e verso me stesso.
Lasciare la comunità è stato molto doloroso e difficile,un dolore che mi sono poi portato dietro fino al tanto desiderato rientro.
Sono andato al rientro con un milione di aspettative, crollate poi nel giro di poco tempo, aspettative soprattutto affettive e lavorative. Ho passato dei bellissimi momenti anche al rientro, come mi era già successo in accoglienza e in comunità, ma appena entrato in un brutto periodo e nei miei meccanismi negativi è stato molto facile ricadere con l’eroina e con l’alcool.
Solo oggi riesco a rendermi conto della gravità di quel periodo, la paura. per quello che era successo era così forte da non volerla sentire non rendendomi cosi conto di quelle che erano le mie difficoltà incontrate al rientro.
Da quel giorno è come se avessi messo la parola fine all’eroina, cosa che non avevo mai fatto fino a quel momento. Nei mesi successivi alla ricaduta ho ritrovato il mio benessere fino ad affrontare la fase C, anche quest’ultima iniziata con molte aspettative.
Un lavoro che mi piace molto ed una mia indipendenza mi hanno aiutato molto ad assaporare le cose belle della vita, ma anche in fase C dopo diversi problemi affettivi è stato molto facile lasciarmi andare, iniziando a raccontarmi di essere arrivato, che per me significava essere libero di poter bere liberamente e sentirmi come un normale altro ragazzo.
Solo più avanti, dopo aver lasciato il programma, sono riuscito a rendermi conto delle enormi balle che in quel momento mi conveniva raccontarmi per nascondere tutta lo mia sofferenza nel dover affrontare e accettare tutto quello che è la vita.
Lasciare il programma è stata una mia scelta, dato che per me ha avuto un significato, è stato un po’ come azzerare tutto quello che era accaduto in quel periodo.
Una volta libero da ogni limite, mi sono impegnato a ripartire, a confrontarmi un po’ con tutto, con il lavoro, con le persone con cui ho a che fare tutti i giorni e soprattutto con l’affettività; ho deciso di rientrare in programma poi solo quando ho ricominciato ad apprezzarlo, a capire quanto fosse importante per me.
In quest’ultimo periodo al rientro sono riuscito a conoscere i miei punti di forza, a capirli e a saperli mettere in atto, ho imparato a non perdermi del tutto dietro l’affettività, a non buttarmi giù ogni volta che qualcosa non va, a mettere me stesso ed i miei bisogni davanti ogni altra cosa e godermi lo splendido affetto della mia famiglia e delle persone che mi vogliono bene.

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