L’OIKOS: la mia seconda famiglia

Decisi di entrare in programma perché mi rendevo conto che da sola non sarei riuscita a smettere, che la roba si era impossessata dalla mia vita, del mio corpo, ma soprattutto della mia testa. Non ero più libera, tutto era condizionato e plasmato intorno al bisogno e al desiderio di farmi.
Grazie al SERT e alla mia assistente sociale conobbi l’OIKOS.
L’Accoglienza non fu un bel periodo, e non mi piace ricordarlo. Si usavano di nascosto sostanze e i rapporti erano pieni di convenienza e compromessi. Allo stesso tempo non ero in grado di parlarne con gli operatori, perché da un lato mi faceva comodo, visto che la voglia e il desiderio erano sempre presenti, dall’altro non era semplice andare contro l’atteggiamento omertoso e la paura di essere tagliati fuori dal gruppo che nonostante nel male, si era creato.
Per non parlare dei rapporti, com’è mia abitudine fare non riuscii a concentrarmi su me stessa.
La Comunità invece la ricordo con un sorriso misto di felicità e malinconia. Non avevo mai pensato prima di allora al mio passato, ai miei atteggiamenti e alle mie paure.
Soprattutto conobbi la parola “sentimenti”. Incontrai tante difficoltà ad accettare quello che sentivo e a condividerlo con gli altri. Non a caso l’esperienza verbale “Aiutatemi a dirvi quello che sento”.
Molto dopo capii che pensare di controllare i sentimenti era un’illusione. Ora so che quello che sento è la mia forza. Ci furono tanti momenti dolorosi e altrettanti felici. Con l’aiuto degli operatori e degli altri ragazzi sono riuscita a sentire e recuperare l’attaccamento alla vita che si era spento dentro di me.
Tutti sono stati veramente molto importanti e tutti i giorni ne sento la mancanza.
Soprattutto Gianni e Antonella. Ho scoperto che la vita è fatta di piccole cose, e che come Gianni diceva sempre “sono quelle che ci mandano avanti, anche perché i grandi eventi nella vita delle persone sono pochi”.
Che dentro di me ci sono dei bisogni e per stare bene devo ascoltarli. Con fatica ho accettato il bisogno di essere voluta bene. È difficile convivere con le fragilità, ma forse fare finta di non averne lo è di più.
Ho imparato ad apprezzare e divertirmi con le cose semplici, e ho visto che sono proprio quelle a dare le emozioni più forti, quei momenti speciali e un po’ magici che non dimentichi mai.
Ne ho tantissimi di quell’anno e tutti sono in attimi di quotidianità.
Con la fascia ci furono rapporti molto burrascosi, soffrii molto per questo. Tutt’ora faccio fatica a prendermi responsabilità circa i nostri litigi. Sicuramente concentravo le mie energie su poche persone ma credo sia umano avere preferenze e simpatie. Di base verso tutti c’era e c’è molto affetto. Tutt’ora ci aiutiamo a vicenda.
Il passaggio dalla comunità al rientro fu veramente traumatico, non riuscivo ad accettare il distacco dal luogo e dalle persone.Il Rientro è stata la fase più dura e anche quella in cui mi sono veramente affidata. Mi c’è voluto tempo e fatica ad investire, rifiutavo il posto perché ero troppo legata alla CT.
Credevo impossibile poterlo sentire poi così tanto casa mia. In quei mesi mi sono veramente presa cura di me. Ho ritrovato Zelinda e con il suo aiuto sono riuscita ad arrivare fin qui.
È passato un anno e se guardo indietro mi sembra di averne passate tante. In dei momenti mi sento forte in altri molta stanca. Ma poi mi chiedo stanca di cosa e mi ritrovo ad accettare le cose che mi succedono.
In questi mesi la cosa che mi ha fatto più male sono state le ricadute dei ragazzi. L’amarezza per la situazione, la delusione e la paura per il futuro sono ancora dentro di me.
Ci sono dei momenti di quei giorni che ancora faccio fatica a raccontare e che ho provato, con scarsi risultati a cancellare.
Io non ho avuto ricadute grazie prima di tutto alla tutela; so dove sono a rischio quindi evito. Ma soprattutto ho deciso che voglio darmi una possibilità. Ora so quello che voglio, quello che mi piace e che vorrei costruire. Questo è il mio punto di forza.
Con l’alcool ho incontrato qualche difficoltà, spesso ho avuto voglia di bere perché lo vivo come momento che aiuta l’aggregazione, fa festa e rende più semplice la conoscenza di persone nuove. Per lo meno, così lo ricordo.
Riusciva ad ammorbidire un po’ il mio carattere a volte timido e un po’ scontroso.

Il rapporto con i miei genitori è migliorato molto rispetto a prima. Faccio sempre molta fatica a parlare quando sto male, però cerco di dirgli tutto quello che mi succede.
Sono sempre molto condizionata dalla loro opinione, in generale in tutte le cose e sinceramente vorrei esserlo meno. Forse è l’insicurezza e il desiderio di accontentarli perché i sensi di colpa del passato già pesano di per sè. Sono ancora dipendente economicamente da loro, ma allo stesso tempo sono orgogliosa di me perché con il mio piccolo stipendio riesco a fare varie cose, chiedendo solo cose straordinarie.
Il mio punto debole è il rispetto di me stessa, nei rapporti sia affettivi che sentimentali faccio fatica a rispettarmi, tendo a passare sopra le cose o a non dargli il giusto peso, per non stare nei sentimenti che poi ne derivano.
Il mio punto di forza credo che sia la capacità di reagire, di rialzarmi. Il programma mi ha insegnato a lasciarmi aiutare, a far entrare le persone in una sfera che prima ritenevo troppo privata e personale. Ora so che le persone possono capirti o comunque ascoltarti, cosi mi sento meno sola con i miei sentimenti che prima ritenevo intimi e solo miei.
Mi viene dal cuore ringraziare, tutte le persone che ho incontrato in questo percorso. Può sembrare una frase fatta ma non lo è. Ognuna mi ha aiutato in modo diverso e mi ha fatto scoprire qualcosa.
Mi sono affezionata tanto agli operatori e agli altri ragazzi tanto da considerare l’OIKOS la mia seconda famiglia. 

 

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