Il virus dà, il virus toglie

Oikos non si ferma!!! Ricevo da un collega della “prima linea” una interessante riflessione sul senso del nostro vivere ai tempi del covid19 e su quello di chi è ospite di strutture sanitarie ed educative. Grazie Filippo Santi

“IL VIRUS DA, IL VIRUS TOGLIE”
FILIPPO SANTI
In queste settimane stiamo assistendo alla pandemia del secolo, infezione che sta avendo forti
ripercussioni sia dal punto di vista economico che sociale.
Lavorando nel sociale, in particolare nel settore delle dipendenze patologiche, ho scelto questo
titolo provocatorio per riflettere su ciò che il COVID-19 ci sta dando e su ciò che ci sta togliendo;
la risposta è la stessa: il tempo.
Siamo tutti uguali di fronte al tempo: tutti sincronizzati sullo stesso orario, ma con lancette
differenti.
Quest’infezione mondiale, che ci costringe a casa con i conviventi, ha cristallizzato un tempo:
quello dell’operatività, in un’era che ruota attorno al lavoro e alla performance. Paradossale
pensare che questa epidemia sia partita dall’oriente; il virus sembra aver chiesto un ritorno alla
lentezza e alla riflessione, propri un tempo di questi popoli, attualmente affannati dalla macchina
del commercio.
Sono rimasto stupito di come il popolo italiano abbia reagito a tutto ciò: dopo le prime difficoltà
nel rispettare le restrizione ed i decreti ci siamo uniti, abbiamo capito che, forse, avevamo tutti
bisogno di questo tempo e che avremmo dovuto sfruttarlo in maniera costruttiva stando con i
nostri cari a cucinare, leggere, suonare, cantare, giocare, ridere, ascoltare, riappropriandoci di un
tempo che spesso lamentiamo di aver perso. Ci siamo fermati e siamo tornati a guardare le
persone a noi care, a dedicare a noi stessi più tempo capendo che la libertà non dipende dallo
spazio.
In queste settimane siamo costretti a fermarci con noi stessi, a stare a contatto con le nostre
vulnerabilità e con le nostre mancanze, privati della possibilità di correre da una parte all’altra
della città per lavoro, acquisti e giri superflui. Al punto da renderci conto di non poter continuare a
colmare certe nostre esigenze fittizie. Il virus sembra agire per sottrazione, toglie la quotidianità, il
lavoro, i pranzi in famiglia e la possibilità di fare, senza riflettere delle nostre azioni.
Sottrarsi dal resto, creare mancanze, può forse aiutarci ad apprezzare ciò che già abbiamo?
Il tempo frettoloso, la scansione oraria, gli appuntamenti, l’operatività, forse, al pari delle
sostanze, non ci hanno permesso di ascoltarci e di vivere a pieno la vita.
Oggi, più che mai, è possibile avvicinarsi ai ragazzi che vivono le comunità di dipendenze
patologiche, il cui tempo si svolge all’interno di uno spazio che risuona come un limite: pareti che
delineano un dentro e un fuori, un luogo sicuro e un esterno rischioso. La vita evolve per
opposizioni, conosciamo la felicità solo dopo aver sentito la tristezza, apprezziamo la vita dopo
averla rischiata, ci riappropriamo del nostro tempo solo quando comprendiamo che tutta questa
operatività forse ce lo toglie.
Ci stiamo unendo nelle nostre vulnerabilità, come la paura di contrarre il virus (di fronte al quale
siamo tutti identici), la paura che qualche caro lo contragga e la paura della morte. Quella morte
che, in termini Lacaniani, non esiste in quanto è sempre la morte dell’altro e mai la vera morte, la
mia.

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